martedì, febbraio 02, 2010
SONNY BOY

CI SONO DELLE VITE CHE, RACCONTATE, SEMBRANO DEI ROMANZI. CI SONO dei romanzi che narrano di vite così straordinarie da sembrare prodotto di pura invenzione. “Sonny boy” della scrittrice olandese Annejet van der Zijl è uno di questi romanzi, soltanto che le vicende narrate sono tutte realmente accadute- è uno di quei casi in cui la realtà supera la finzione e le vite dei protagonisti sono di fatto dei veri romanzi di per sé. Inizia e finisce con un’immagine d’acqua, il romanzo “Sonny boy”: nel 1923 un ragazzo nuota nelle acque del fiume Suriname, a Paramaribo, la Perla dell’Ovest, una delle città più belle del Sudamerica; il 3 maggio 1945, ultimo giorno di guerra, quel ragazzo diventato ormai uomo ed emigrato da quasi vent’anni in Europa, nuota nel gelido Baltico per salvarsi la vita, dopo che gli aerei inglesi hanno bombardato la nave tedesca carica di ex deportati. Waldemar Nods è ancora un ottimo nuotatore, riesce a raggiungere un’isoletta- per essere falciato da un mitra tedesco. Quello che avviene tra queste due date è una storia di coraggio e di amore, e il coraggio e l’amore non sono due virtù che si esauriscono in un ambito ristretto e in un tempo limitato, anzi, sembrano trovare nuove riserve ogniqualvolta è necessario. Il Suriname da cui Waldemar proviene era una colonia olandese- e questo spiega perché il giovane sia andato in Olanda a studiare. Perché, per un fenomeno di mitizzazione comune in tutte le colonie, l’Olanda era una sorta di lontana madre-patria; tutto quello che di più si poteva ambire nella vita si poteva ottenere soltanto in Olanda, studi, cultura, educazione, denaro. Non poco per chi discendeva da degli schiavi, come Waldemar. E questo, il passato schiavista degli olandesi di cui non si ama parlare, è uno dei punti della storia su cui è interessante riflettere, come un’anticipazione di quello che accadrà in seguito. In ogni modo non deve essere stato facile per un giovane di colore ambientarsi in un paese come l’Olanda dove la sua diversità era subito apparente- per non parlare del clima o del colore dell’aria e dell’acqua, o della vegetazione. E’ naturale che Waldemar si sia innamorato di Rika, la donna presso cui aveva una stanza in affitto. Chi si è innamorato di chi, per primo? Il ventenne e affascinante Waldemar che si sentiva solo o la quarantenne madre di quattro figli e separata dal marito, ma così piena di vita e di una bellezza chiara e morbida? Il figlio dell’amore avrebbe avuto la pelle scura, grandi occhi blu come la madre e grossi riccioli neri come il padre: era lo scandalo. Una storia di amore e di coraggio, dicevamo, e certo la personalità trainante tra i due è quella di Rika: è facile immaginare le offese che dovette sopportare, lei, cattolica, sposata con figli già grandi. Dopotutto una bianca che si era messa con un nero. Eppure Rika non si perse mai d’animo, continuando a scrivere lettere ai figli che l’avevano rifiutata, industriandosi per guadagnare aprendo una pensione dopo l’altra, ingrandendosi. Fino alla guerra e all’occupazione tedesca, quando inizia l’ultimo atto di queste due vite eccezionali. Perché Rika e Waldemar nascondono degli ebrei, verrà fatta una delazione, finiranno in due campi di concentramento. Chi vuol sapere qualcosa di un evento storico deve leggere biografie, e non le biografie di statisti, bensì quelle troppo rare della gente sconosciuta- dice la citazione in prima pagina. Non ci resta altro da aggiungere, salvo sottolineare che c’è, a metà libro, un bellissimo inserto di fotografie a cui il nostro occhio ritorna durante e dopo la lettura: ci assicurano che sì, tutto quello che abbiamo letto è accaduto. Che sono esistite delle persone così.Annejet van der Zijl